DISCO
Discovering the Archaeologists of Europe
2012-2014
PROGETTO REALIZZATO CON CONTRIBUTI DI
Dopo l’approvazione della Legge 110/2014 sul riconoscimento dei professionisti dei Beni Culturali e dell’annunciata riforma del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, la Confederazione Italiana Archeologi ha presentato il primo rapporto completo sulla professione dell’archeologo in Italia.
Il report è inserito nel Progetto DISCOVERING ARCHAEOLOGISTS IN EUROPE (DISCO), realizzato per la prima volta nel nostro Paese, e fornisce un quadro chiaro ed esaustivo della professione dell’archeologo, delle sue problematiche e della strada che si deve percorrere per migliorare chi tutela il nostro immenso patrimonio.
Dal Report DISCO possiamo ricavare due importanti dati: stimare per la prima volta il numero di archeologi e delle società operanti in Italia e tracciare un profilo dell’archeologo tipo.
In Italia operano circa 4500 archeologi, dei quali più di 3500 svolgono la professione fuori da enti pubblici, 400 operano nel MiBACT, 371 all’interno del MIUR e 86 nel CNR.
Le società archeologiche sono circa 200, ma gli archeologi sono abituati a collaborare con molte altre che non si occupano solamente di archeologia, ma sono prevalentemente impegnate nel campo edile o ingegneristico.
Il lavoro autonomo è attestato al 65,9%.
L’archeologo tipo in Italia è una donna di 37 anni che lavora prevalentemente per enti pubblici come libera professionista a Partita IVA o con contratti a progetto, raramente come dipendente.
Principalmente impegnata negli scavi, opera anche in uffici, laboratori e biblioteche, meno spesso all’interno di musei.
La nostra professionista percepisce mediamente un compenso annuo di 10.700€, nonostante oltre alla laurea, possegga un titolo aggiuntivo (specializzazione, dottorato o post-dottorato) che la rende soddisfatta della propria preparazione accademica, anche se riscontra carenze nella preparazione tecnica e in temi specifici quali la legislazione, il diritto del lavoro e le norme sulla sicurezza.
GLI ARCHEOLOGI
Il numero stimato di archeologi attivi in Italia nel biennio 2012-2013 è circa 4500.
Non si tratta del numero totale di laureati in archeologia, ma di coloro che nel 2012-2013 vivevano parzialmente o totalmente di un reddito proveniente dal settore archeologico.
L’età media degli archeologi è 37 anni, 36 per le donne e 38 per gli uomini.
Le donne sono il 70,79% del totale, gli uomini il 29,21%.
Dall’analisi delle classi di età si ricava che l’evidente gap tra uomini e donne tende ad assottigliarsi bruscamente dopo i 37-38 anni, segno di una maggiore mortalità professionale delle donne in questa fascia di età critica, soprattutto in mancanza di garanzie lavorative certe.
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DONNE
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UOMINI
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Il 20% degli archeologi opera su Roma (26,7% l’intero Lazio), sia per la presenza di numerose università con corsi di archeologia, sia per quella delle sedi centrali del MiBACT, sia soprattutto per la presenza nel Piano Regolatore Generale della Capitale di un comma che impone la presenza di un archeologo su ogni cantiere che tocchi il sottosuolo.
Al centro della penisola lavora il 40,9% degli archeologi, il 21,8% al sud, il 18,95% al nord, il 16,5% nelle isole.
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NORD
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CENTRO
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SUD
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ISOLE
REDDITO
Il reddito medio registrato è di 10.687 € all’anno, appena più alto di quello registrato per il 2010, 10.389 €, e per il 2008, 10.318 €.
La media dei lavoratori full time, però, cioè di coloro che hanno dichiarato di ricavare dalle attività archeologiche l’intero proprio sostentamento, è di 15.566 € annui: i più ricchi sembrano essere i lavoratori dell’Università e del MiBACT (rispettivamente 21.106 € e 20.560 € all’anno) mentre i lavoratori con più committenti (quelli che potremmo definire i veri freelance) si attestano a 14.253 € annui; i lavoratori delle società archeologiche, con una media di 11.575 € annui, si attestano in fondo. Dal mondo della libera professione proviene l’archeologo più ricco d’Italia, con 120.000 € annui.
Il quarto degli archeologi col reddito più basso è sotto i 5.000 € annui, mentre il quarto più ricco guadagna almeno 22.000 €: sembra in questo modo possibile tracciare una linea di demarcazione tra coloro più facilmente esposti all’abbandono dell’attività e coloro che, invece, riescono a mantenersi svolgendo la professione di archeologo.
FORMAZIONE
Solamente il 6,35% degli archeologi si è fermato alla laurea triennale, mentre quelli che vantano una formazione post lauream sono circa il 52%: di questi il 31% ha il diploma di scuola di specializzazione, il 15,6 il dottorato, il 6,35% ha un titolo post dottorato.
Il 25,55% ha ottenuto la laurea specialistica o magistrale, il 14,77% la laurea quadriennale vecchio ordinamento.
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DIPLOMA DI SPECIALIZZAZIONE
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DOTTORATO DI RICERCA
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POST DOTTORATO
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LAUREA MAGISTRALE
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LAUREA VECCHIO ORDINAMENTO
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LAUREA TRIENNALE
AMBITI LAVORATIVI
I principali datori di lavoro sono le Università (20%), seguite dalle società archeologiche (17%), dal MiBACT (15%), dai Comuni (7,8%) e dalle società impegnate nel turismo (5,9%).
Se il dato, però, viene letto dal punto di vista delle percentuali di reddito di chi opera full time, si ricava che al primo posto ci sono le società archeologiche (31% dei redditi), al secondo il MiBACT (20%) e infine l’Università (17%). La lettura cambia per i part time, che indicano come prime fonte di reddito le società (22,5%), poi l’Università (18,5%) e infine, alla pari con altri ambiti non specificati, il MiBACT (10%).
Le società archeologiche, dunque, pur rappresentando in generale solo il secondo dei committenti per i professionisti, rappresentano dal punto di vista economico la risorsa principale.
I luoghi di lavoro indicati sono i cantieri di scavo (38%), gli uffici, i laboratori e le biblioteche (35%) e infine i musei (23%).
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UFFICIO
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SCAVO
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MUSEO
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ALTRO
CONTRATTI
Nel 2013 i contratti da dipendente rappresentavano il 30% degli interi rapporti di lavoro, il 16% con contratti a tempo indeterminato, il 14% con contratti a tempo determinato.
Il lavoro autonomo, spesso con Partita IVA (26,6%), è la norma, rappresentato dal 43% delle risposte.
Al momento del sondaggio il 28% degli archeologi ha affermato di essere disoccupato: in questa percentuale sono inclusi anche molti liberi professionisti con Partita IVA.
La percentuale di coloro che si sono dichiarati lavoratori autonomi, comprensiva anche dei disoccupati al momento del sondaggio, è del 65,9%, cioè i due terzi degli archeologi.
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CCNL EDILIZIA
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CCNL STUDI ASSOCIATI
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CONTRATTI A PROGETTO
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LETTERE DI INCARICO
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DIPENDENTI A TEMPO INDETERMINATO
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DIPENDENTI A TEMPO DETERMINATO
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LIBERI PROFESSIONISTI/NON DIPENDENTI
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DISOCCUPATI
MiBACT
Gli archeologi nel MiBACT, al momento del sondaggio, erano 400, tra funzionari e Soprintendenti.
Di essi il 99% ha un contratto a tempo indeterminato. Il MiBACT ha potuto usufruire di nuove immissioni di personale negli ultimi anni (l’ultima a fine 2013) in conseguenza del concorso per funzionario di fascia B3 bandito nel 2008 e di cui sono state definitivamente esaurite le graduatorie anche degli idonei.
I redditi variano dai 17.000 € annui dei funzionari fino ai 79.000 dei Dirigenti di prima fascia.
Il rapporto tra donne e uomini tra i dipendenti a tempo indeterminato tra le fasce dirigenziali del MiBACT è di 62,5% (10 uomini) a 37,5% (6 donne). Circa il 70% dei funzionari, invece, è donna e il 30% uomo, con percentuali analoghe a quelle generali degli archeologi.
DIRIGENTI MIBACT
FUNZONARI MIBACT
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UOMINI
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DONNE
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UOMINI
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DONNE
UNIVERSITA’
In 51 atenei italiani sono presenti 390 docenti facenti capo al macro-raggruppamento Archeologia.
Di essi, solo 371 sono propriamente archeologi, divisi in 50 atenei.
Tra questi atenei, solo 38 prevedono un corso vero e proprio di archeologia per la laurea di I livello in Beni Culturali indirizzo archeologico e 37 per quella Magistrale.
Dei 371 archeologi, 155 sono ricercatori, 216 sono professori (77 di I fascia/ordinari e 139 di II fascia/associati).
Nella fascia più bassa dei ricercatori, tra gli assegnisti di ricerca, si registra una netta prevalenza di donne, che tende ad assottigliarsi mano a mano che si sale nella gerarchia accademica, fino a ribaltarsi nella categoria dei professori di I fascia: all’aumento di responsabilità nei ruoli universitari varia il rapporto tra generi: se tra i ricercatori e i professori di II fascia la presenza femminile è sensibilmente più alta, tra i professori di I fascia la presenza maschile supera di circa il 40% quella delle donne.
Dalle statistiche presenti sul sito web del MIUR si registra una perdita di circa il 20% dei posti negli ultimi 2 anni, a fronte di un notevole aumento nell’ultimo anno degli archeologi che collaborano con esse.
MUSEI E AREE ARCHEOLOGICHE
Dei 4588 istituti aperti al pubblico nel 2011 si contano 596 musei e 240 aree archeologiche.
Del 63,8% di istituti pubblici, il 41,6% è di pertinenza comunale (es. Gallerie e Musei civici), il 10% di proprietà ecclesiastica (es. chiese, catacombe, musei diocesani), il 9% di pertinenza diretta del MiBACT, il 3,2% di pertinenza di altri Enti pubblici (Regioni, Province, Comunità Montane, ecc.).
Sul totale del campione intervistato (695 dati validi), 65 persone hanno risposto di svolgere la loro attività lavorativa in ambito museale, corrispondenti a circa il 9,4% dell’intero campione: 17 persone svolgono attività di direzione o di responsabilità all’interno del museo (14 direttori e 3 curatori), 12 quella di custodia o di assistenza tecnica, 9 di didattica o di guida turistica all’interno della struttura, 3 si occupano della gestione dei materiali e dei depositi, 2 del catalogo, 2 svolgono ricerca per conto dell’istituzione museale, 1 si occupa della parte commerciale.
Tra le occupazioni indicate sono presenti anche 1 antropologo e 1 archeologo.
Analizzando i dati relativi alle tipologie contrattuali e riassumendo gli stessi in 4 categorie temporali si evince che la maggior parte (33 su 65) ha un incarico a tempo determinato, 25 svolgono la loro attività con un contratto a tempo indeterminato, 5 con un incarico da esterno, non specificandone tuttavia la durata, soltanto 1 persona presta la sua opera a titolo volontario e gratuito (1 non specifica il tipo di contratto o di incarico).
SOCIETÀ ARCHEOLOGICHE
Sono state contattate per partecipare alla ricerca 214 società prettamente archeologiche, delle quali ha risposto il 15,25% (32).
A queste imprese vanno aggiunte le società che pur svolgendo principalmente altre attività posseggono una qualificazione OS25 indispensabile per effettuare scavi archeologici nell’ambito degli appalti pubblici: nel 2013 possedevano la qualificazione OS25 307 società, delle quali solo 37 individuabili come prettamente archeologiche. 177 società archeologiche, dunque, risultavano prive della qualificazione necessaria a partecipare ad appalti pubblici e concentrate sul solo settore dei lavori privati.
La ragione sociale delle imprese archeologiche è equamente distribuita tra la forma cooperativa e quella a responsabilità limitata (s.r.l.), entrambe attestate al 38%. All’11% si attestano le snc.
Dalle risposte ottenute sulla tipologia di contratto utilizzata dalle imprese si ricava che la più diffusa sono i contratti a progetto (38%), seguiti dal contratto nazionale dell’edilizia (29%), da altri contratti collettivi nazionali (19%), semplici lettere di incarico (10%), contratto degli studi professionali (5%).
I tempi per la erogazione dei pagamenti, sia alle imprese che ai professionisti, si attestano da parte dei committenti, privati e pubblici, tra i 3 mesi e 1 anno dopo la conclusione del lavoro, risultando il problema maggiore per la stabilità del mercato e per un corretto sviluppo di buona occupazione.
Dall’analisi delle risposte dei professionisti che hanno dichiarato di aver lavorato per società archeologiche, si ricava che nel 2013 c’è stata solo una piccola immissione di nuovi lavoratori.
Nel 2013 si osserva, inoltre, un innalzamento del numero di soci/proprietari di società, cui è corrisposta una diminuzione del numero di contratti stabili.
Il 76% delle imprese non prevede nuove assunzione nel prossimo anno.
Accanto ai tradizionali settori operativi delle società archeologiche (scavo, rilievo archeologico, restauro) il settore delle “nuove tecnologie” risulta quello in maggiore ascesa, accanto a quello delle visite guidate e della didattica nelle scuole, e a quello dell’archeologia preventiva.
Un altro aspetto analizzato è quello del lavoro di post scavo (studio e pubblicazione dei dati, schedatura, ecc.) che quasi mai viene riconosciuto economicamente alle imprese e di conseguenza ai professionisti, rendendo sostanzialmente monco il lavoro sul campo.
Rispetto al fatturato (domanda a cui hanno risposto 16 società su 32 che hanno partecipato al sondaggio) la metà delle società (8 su 16) dichiara di aver guadagnato nel 2013 meno di 50.000 €, soltanto 3 hanno dichiarato più di 1.000.000 di €.
Tra i problemi maggiormente sentiti dalle imprese c’è al primo posto l’eccessiva tassazione, poi la mancanza di tempi certi di pagamento, seguiti dalla mancanza di solidarietà tra le imprese (concorrenza sleale) e dall’eccessivo legame tra mondo archeologia ed edilizia.
Solo settimo l’eccessivo costo del lavoro.
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