SICILIA DELENDA EST?
Il Governo nazionale ripristini l’assetto istituzionale legale degli organi regionali di tutela
Esprimiamo la più viva preoccupazione per il fatto che stanno per essere cancellate, dalle Soprintendenze e dai luoghi della cultura siciliani, le sezioni tecnico scientifiche, ultimo residuo di un ordinamento disciplinare del sistema regionale di tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione conservato nell’Isola.
Il processo di azzeramento delle competenze delle distinte discipline dei beni culturali (antropologica, archeologica, architettonica, archivistica, bibliotecaria, naturalistica, storico artistica), già avviato da anni nella Regione Siciliana, come denunciato in molte sedi, è stato portato a compimento, in questi giorni, dalla Delibera n. 108, con cui la Giunta regionale ha approvato lo schema di decreto presidenziale, recante la “Rimodulazione degli assetti organizzativi dei Dipartimenti regionali”.
La data della delibera, il 10 marzo 2022, è, per fatale coincidenza, la stessa della “giornata dei beni culturali siciliani”, che ricorre ogni anno in memoria della tragica scomparsa dell’assessore Sebastiano Tusa (avvenuta il 10 marzo 2019).
Quindi, mentre nelle Soprintendenze, Musei e Parchi archeologici siciliani si svolgevano le manifestazioni culturali in ricordo del grande archeologo, il Governo regionale deliberava la scomparsa dell’Archeologia e delle altre discipline di settore, dall’amministrazione regionale dei beni culturali.
In nome di una pretesa “autonomia assoluta” in materia, l’esecutivo regionale, con una semplice disposizione amministrativa, ha soppresso le sezioni tecnico scientifiche, antropologica, archeologica, architettonico-urbanistica, storico-artistica, ambientale, bibliografica, previste dall’art. 12 della L.R. 80/1977 ancora vigente, e i rispettivi direttori che, ai sensi della L.R. 116/1980, hanno la competenza di emanare gli atti di tutela relativi ai beni culturali per cui sono specializzati: l’archeologo per i beni archeologici, lo storico dell’arte per quelli storico artistico e via di seguito.
Demolendo questo principio di competenza disciplinare, oggi riaffermato dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio all’art. 9 bis, ma anche sovvertendo la gerarchia delle fonti del diritto, poiché fa prevalere un atto amministrativo su una norma legislativa, il Governo regionale riduce le sezioni tecnico scientifiche delle Soprintendenze e dei Servizi, che dei “Parchi archeologici” hanno solo il nome, a unità operative meramente burocratiche, di pura gestione amministrativa, snaturando l’intero sistema regionale di tutela che dovrebbe essere fondato, invece, sulla competenza disciplinare nei diversi settori dei beni culturali. È infatti la competenza scientifica delle strutture di tutela che assicura la legittimità degli atti emessi in ottemperanza al dettato costituzionale dell’articolo 9.
Il Governo siciliano giustifica questa assurda, oltre che illegittima, “riorganizzazione” con un obiettivo di riduzione delle postazioni dirigenziali regionali, allo scopo di un presunto risparmio di spesa.
Ma che non sia questo il vero obiettivo lo dimostrano i numeri: dopo questa “rimodulazione” all’Assessorato dei Beni culturali resteranno, infatti, ben 121 postazioni dirigenziali, sempre molte di più delle 94 dell’intero Ministero della Cultura che gestisce centinaia di strutture centrali e periferiche e tutte le Soprintendenze archivistiche, compresa quella siciliana.
Come mai la Regione Siciliana ha bisogno di un numero così spropositato di dirigenti dei beni culturali e quali qualifiche essi rivestono?
Come abbiamo più volte denunciato, il numero dei dirigenti in Sicilia non viene determinato a partire dai fabbisogni dell’amministrazione, ma solo per assicurare un incarico con indennità all’esorbitante numero dei dirigenti regionali, ai quali, peraltro, non vengono richiesti i requisiti professionali previsti nello Stato e ora prescritti dal Codice. L’Amministrazione regionale è un sistema di porte scorrevoli dove chiunque può dirigere qualsiasi cosa: per esempio agronomi dirigono attualmente parchi archeologici e Soprintendenze siciliane.
Nel Ministero le postazioni dirigenziali sono state stabilite a partire dai fabbisogni e assegnate per pubblico concorso rispettando i requisiti di legge, almeno fino a quando il sistema statale non ha imitato quello siciliano con la nomina dei dirigenti da parte dell’esecutivo.
Comunque, attualmente, nel MIC le centinaia di unità operative vengono assegnate ai funzionari archeologi, antropologi, archivisti, architetti, bibliotecari, storici dell’arte, che hanno le competenze specialistiche per gli atti di tutela, i quali dirigono non solo Gallerie d’arte, Musei e Parchi archeologici ma anche, in taluni casi sempre più frequenti, le stesse
Soprintendenze uniche territoriali.
Nell’Assessorato regionale dei Beni culturali sono stati assunti, quasi vent’anni fa, un buon numero di funzionari direttivi specializzati nelle diverse discipline, ma questi professionisti, dotati di titoli postlaurea, rimangono inutilizzati, privi di incarichi direttivi e di mansioni pari a quelle dei colleghi statali, con grave danno dell’amministrazione, a partire dalla mancata progettazione dei fondi europei.
Cui prodest questa ennesima “disorganizzazione” del sistema di tutela in Sicilia?
Certo, può far comodo a molti azzerare le competenze scientifiche nelle Soprintendenze e nei luoghi di cultura siciliani: agli esecutivi che si autopromuovono attraverso gli eventi culturali e non gradiscono gli archeologi a capo dei parchi archeologici; a quanti vogliono avere le mani libere per un uso speculativo dei territori senza l’intralcio di “tecnici” troppo specializzati e agguerriti nell’applicazione delle norme nazionali di Archeologia preventiva; a quanti hanno un’idea colonialista della Cultura e pensano di fare affari promuovendo mostre preconfezionate, senza alcun rispetto per il contesto storico e per i caratteri peculiari dell’immenso patrimonio culturale della Nazione conservato in Sicilia.
Pertanto, in considerazione delle gravi inadempienze da parte della Regione Siciliana nella funzione e realizzazione dei compiti costituzionali di tutela del patrimonio culturale delegati dallo Stato con i decreti del Presidente della Repubblica nn. 635 e 637 del 1975, si richiede urgentemente al Governo nazionale che eserciti, nei confronti della Regione Siciliana, il potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione, al fine di ripristinare l’assetto istituzionale legale degli organi regionali di tutela, perché questi Istituti possano adempiere agli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria e nazionale, oggi in gran parte disattesi su tutto il territorio dell’Isola, e possano impiegare efficacemente, pienamente i fondi strutturali messi a disposizione dalla Comunità Europea.
Occorre far rilevare che il mancato esercizio della tutela archeologica in Sicilia rende l’Italia inadempiente rispetto agli impegni assunti con la firma della “Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico – La Valletta, 16 gennaio 1992”, ratificata dal Parlamento italiano il 19 aprile 2015 con la legge n. 57.
Occorre ripristinare standard uniformi di tutela su tutto il territorio nazionale e restituire la dignità del proprio ruolo pubblico ai professionisti dei beni culturali in servizio presso le Istituzioni siciliane.
Il patrimonio culturale della Nazione conservato nei territori siciliani dovrà tornare a godere della cura istituzionale che solo Organi tecnico-scientifici di tutela, che siano autonomi dal potere esecutivo e che vengano dotati di personale con elevate competenze professionali specialistiche e di adeguati investimenti pubblici, possono assicurare.