Presso la Commissione V dell’ARS, mercoledì 8 luglio 2020, si è svolta una seduta riguardante il DDL 698 “Disposizioni in materia di beni culturali e tutela del paesaggio” presentato dall’On. Sammartino (Italia Viva) e sostenuto dalle forze politiche di maggioranza. Il Presidente Regionale CIA, Enrico Giannitrapani, è intervenuto ribadendo la nostra contrarietà a questo DDL.
Analizzando i principali punti di dissenso rispetto al testo, oramai prossimo alla votazione finale prima del passaggio in aula, la CIA ha voluto ribadire una volta di più come sia inutile e forviante l’intenzione di recepire in Sicilia il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Incuranti del rango costituzionale del Codice, vigente in Sicilia già dalla sua approvazione oltre 15 anni fa, i legislatori regionali propongono ora, senza averne la potestà, un “Codice regionale dei beni culturali” che ricalca, in formato Bignami, il Codice stesso, “fatte salve le diverse disposizioni introdotte dalla presente legge”! Quale Codice applicheranno le soprintendenze siciliane: quello vigente in tutto il territorio nazionale o la sua variante siciliana?
Laddove invece esiste la potestà legislativa, cioè l’organizzazione della tutela in ambito regionale, come determinato dai due DPR che dal 1975 hanno delegato proprio tale aspetto al legislatore regionale, il DDL aggiunge ulteriore confusione a una situazione di per sé già complicata e in crisi proprio per l’incapacità organizzativa dimostrata dalla politica regionale nel corso degli ultimi decenni nel settore dei beni culturali.
Nello specifico del testo in discussione, a nostro avviso, i principali motivi di dissenso e critica riguardano:
– la modifica delle norme sugli istituti e luoghi della cultura contenute nel Codice, prevedendo un ampliamento delle forme di gestione diretta e indiretta senza rispettare la necessaria separazione tra queste e le attività di tutela e di valorizzazione di competenza istituzionale;
– la creazione di una rete museale che attua una drastica riduzione del numero dei Musei regionali autonomi (solo 6), mentre tutti gli altri, di competenza regionale da oltre quarant’anni, sono assorbiti dai Parchi archeologici, mega strutture burocratiche a cui sono assegnate, illegittimamente, le competenze sui musei e sulle aree archeologiche, sottraendole alle Soprintendenze territoriali, senza peraltro essere in possesso dell’adeguato personale scientifico e soprattutto senza le necessarie risorse economiche alla loro gestione;
– le norme relative alla tutela paesaggistica che limitano l’azione delle soprintendenze, escludendo dalle autorizzazioni paesaggistiche le procedure semplificate previste dal DPR 31/2017. In contrasto con quanto prescritto dal Codice, il Piano Paesaggistico Regionale è poi trasformato, da strumento di conoscenza e tutela del paesaggio, sovraordinato anche alla pianificazione urbanistica, a mero mezzo a disposizione dell’esecutivo per definire a priori la compatibilità ambientale delle grandi opere potenzialmente pericolose per l’integrità del paesaggio siciliano. Le norme contenute nel DDL modificano quindi il processo di approvazione del Piano Paesaggistico stesso, mettendo a rischio il faticoso iter di approvazione dopo vent’anni dal suo avvio;
– la parte più delicata riguarda infine il personale dell’Assessorato. In Sicilia infatti, per effetto del “ruolo unico della dirigenza”, istituito dalla L.R. 10/2000, che ha promosso in massa, senza alcuna selezione, un numero spropositato di dirigenti regionali, come sempre più frequentemente sottolineato dalla Corte dei Conti, sono spesso geologi, ingegneri o agronomi ad avere la direzione di musei e parchi archeologici. Tutto ciò in contrasto con quanto previsto dalle leggi regionali 80/1977 e 116/1980 che istituirono il sistema regionale di tutela in Sicilia e il relativo “ruolo tecnico dei beni culturali”, creando così una pianta organica specifica per il settore e la definizione delle diverse qualifiche professionali nell’attribuzione degli incarichi direttivi e dirigenziali.
Tale assetto è stato stravolto negli ultimi vent’anni dalla prassi, esclusivamente siciliana, di attribuire la direzione di strutture operative non dirigenziali, come le sezioni tecnico-scientifiche delle soprintendenze, a dirigenti generici, invece che a funzionari direttivi laureati e specializzati nei diversi settori della tutela dei beni culturali, quali gli archeologi e gli storici dell’arte vincitori del Concorso del ruolo dei beni culturali del 2000, come accade regolarmente nel MiBACT. Ciò ha prodotto un danno al patrimonio culturale che è stato affidato a dirigenti del ruolo unico, senza il rispetto delle competenze professionali, e un danno al bilancio regionale.
La CIA conferma quindi la sua totale contrarietà a questo DDL.
Questo decreto, e il vivace dibattito che lo ha accompagnato in queste settimane, consente però di aprire una volta per tutte alla possibilità di una analisi e di un bilancio di 45 anni di autonomia siciliana sulla gestione del suo patrimonio culturale, il cui giudizio, a eccezione di alcune importanti leggi regionali – la 80/77 e la 116/80 – non può essere positivo. Per questo si ritiene maturo il tempo per tornare, anche in Sicilia, come peraltro già avviene anche in altre Regioni a statuto autonomo, a un modello unico di tutela del patrimonio culturale, facendolo rientrare una volta per tutte nell’alveo istituzionale nazionale.