Osservazioni e commenti avanzati dalla Confederazione Italiana Archeologi sul DDL 698-500 in discussione presso l’Assemblea Regionale Siciliana – Commissione V Cultura, Formazione, Lavoro
La Confederazione Italiana Archeologi, fondata nel novembre 2004, è la prima associazione professionale di archeologi costituitasi legalmente in Italia. Tra i suoi compiti statutari vi è la definizione del profilo professionale di archeologo mediante iniziative culturali, politiche, sociali e legislative finalizzate alla sensibilizzazione delle istituzioni, delle organizzazioni sindacali, delle aziende, delle associazioni di categoria e di ogni altro soggetto coinvolto nella tutela, nella conservazione, nella promozione e nella valorizzazione dei beni archeologici.
Dal 2005 è membro del CoLAP (Coordinamento della Libere Associazioni Professionali), dal 2016 è riconosciuta dal Ministero per lo Sviluppo Economico ai sensi della L. 4/2013 e dal dicembre 2019 rappresenta gli archeologi all’interno della Commissione Ministeriale del MiBACT istituita a seguito della L. 110/2014.
La CIA è stata convocata lo scorso 06 maggio 2020 in audizione presso la Commissione V dell’ARS al fine di esprimere le proprie osservazioni in merito al DDL 698-500. Il presente documento intende riprendere e meglio specificare i principali punti presentati in tale sede. Come detto nel corso della audizione, si intende ribadire qui le nostre perplessità circa la liceità e l’efficacia degli articoli contenuti del DDL, sia da un punto di vista del metodo che del merito del DDL stesso, oltre che ritenerlo poco incisivo nella parte di proposta avanzata per risolvere le tante questioni e i problemi che affliggono i beni culturali siciliani, che di fatto hanno impedito fino ad oggi una migliore e più efficace tutela e valorizzazione del vasto patrimonio culturale dell’isola.
1 – Da un punto di vista di metodo, osserviamo una questione di non liceità proprio a partire dalla premessa, in quanto il DDL non cita i decreti delega del Presidente della Repubblica del 1975
- 635 e n. 637, facendo discendere la competenza legislativa della Regione Siciliana in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici (art 2 del DDL) direttamente dallo Statuto Autonomistico del 1946, senza considerare che, invece, l’esercizio regionale di tali funzioni statali deriva da una delega espressa dal più alto organo dello Stato e deve essere pertanto contenuta entro i limiti prescritti dai citati decreti presidenziali.
2 – Tra gli obiettivi del DDL si rileva la volontà da parte del legislatore di recepire in Sicilia la normativa nazionale di tutela del patrimonio culturale contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con D.lgs. 42/2004 e s.m.i.
Non comprendiamo però la necessità di tale recepimento, poiché ciò si configura come un travalicamento dei limiti imposti alle norme regionali dalla gerarchia delle leggi nell’ordinamento giuridico italiano. Le norme contenute nel DDL (ad esempio, gli artt. 4, 5, 9, 10) che intendono recepire il Codice, sono infondate in quanto questo costituisce una legge-quadro nazionale di carattere economico-sociale che dà attuazione a un principio fondamentale della nostra Costituzione, l’art. 9.
Questo è chiaramente precisato all’art. 1 dello stesso Codice: “in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice”. Pertanto, il Codice dei beni culturali è de facto vigente in Sicilia dal momento della sua approvazione, in virtù del principio del recepimento dinamico.
3 – Invece, il DDL non fa mai esplicito riferimento alla L.R. 80/1977, che dando seguito proprio ai Decreti Presidenziali n. 635 e 637, istituisce nell’isola il sistema delle Soprintendenze uniche territoriali (modello organizzativo peraltro oggi adottato dal MIBACT a livello nazionale) e alla successiva L.R. 116/1980, contenente le norme attuative circa la struttura, il funzionamento e l’organico del personale dell’amministrazione dei beni culturali in Sicilia, di fatto istituendo il ruolo tecnico dei beni culturali. Si fa peraltro presente come tali disposizioni legislative sono oggi ancora vigenti, seppure svuotate e depotenziate da una lunga serie di disposizioni, circolari e norme che le hanno rese nel corso degli anni di fatto inapplicate.
4 – Quest’ultimo aspetto, riguardante cioè la specificità del settore dei beni culturali da cui discende l’istituzione di uno specifico ruolo tecnico, è di assoluta importanza, e fa specie che non sia assolutamente considerato nel DDL in discussione, considerata la necessaria specializzazione tecnico-scientifica richiesta da un settore così delicato come quello dei beni culturali. Tale specificità è peraltro ampiamente riconosciuta dalla legislazione vigente, non solo per quanto riguarda il Codice dei beni culturali, ma anche per altre leggi dello Stato, come nel caso del D.lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), ove la specificità dei lavori connessi con i beni culturali sono oggetto di specifiche norme (art. 25, archeologia preventiva), oltre che di un intero capitolo di tale Codice (Titolo VI, Capo III, artt. 145-151), a sua volta regolamentato dal Decreto Ministeriale 154/2017, emanato dal MIBACT.
Anche in questo caso, tuttavia, il DDL in discussione intende recepire all’art. 46 il Codice dei contratti, o parte di esso, dimenticandosi del fondamentale art. 25, senza tenere conto che questo, così come già specificato per il Codice dei beni culturali, sia già vigente in Sicilia per il medesimo principio del recepimento dinamico.
5 – Venendo a commentare le questioni di merito relative al DDL 698, va subito rilevato come molti degli articoli inseriti in tale DDL appiano, nel loro insieme, soggetti ad aspetti di incostituzionalità, in particolare per quanto riguarda il mancato rispetto del principio dettato dall’art. 9 dell’obbligo della tutela del “paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione”, oltre al fatto che prefigurano norme in conflitto con la legislazione nazionale che dà attuazione al dettato costituzionale dell’art. 9. A modo esemplificativo, si vogliono qui citare tre casi specifici:
5.a – 5.a – L’art. 6 del DDL prescrive, al comma 1, che gli interventi soggetti ad autorizzazione “sono subordinati ad autorizzazione del dirigente generale del dipartimento dei beni culturali e della identità siciliana”. Questo principio risulta in contrasto con quanto prescritto dall’art. 21 del Codice che attribuisce espressamente ai Soprintendenti la potestà di autorizzazione di interventi sui beni culturali: tale potestà quindi non può essere attribuita al dirigente generale, considerato che questo non è un organo tecnico-scientifico.
5.b – L’art. 7 del DDL assegna la tutela dei beni culturali e paesaggistici ad accordi tra amministrazioni, scavalcando il ruolo tecnico-scientifico delle istituzioni di tutela, in contrasto con gli obblighi di tutela imposti appunto dall’art. 9 della Costituzione. A sostegno della non liceità di questa norma, occorre rilevare il fatto che anche la L. 124/2015, nota anche come Legge Madia sulla semplificazione amministrativa, ha dovuto escludere la fattispecie delle autorizzazioni sui beni culturali e paesaggistici dalla possibilità di accordi tra Enti diversi, proprio perché i pareri degli Enti di tutela sono imposti da obblighi costituzionali.
5.c – Gli artt. 49 e 54 del DDL contengono la delega da parte della Regione allo sportello unico per l’edilizia dei Comuni della concessione delle autorizzazioni paesaggistiche. Tutto ciò risulta in palese contrasto con quanto prescritto dall’art. 146 del Codice che prevede al comma 6: “La regione esercita la funzione autorizzatoria in
materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico- scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l’esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”. Come è evidente, quindi, in contrasto con quanto disposto dal Codice, si intende delegare le funzioni regionali in materia di autorizzazione paesaggistica ad un organo comunale che esercita funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia, senza valutare peraltro se gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche.
Quelle citate sono le principali norme che consideriamo illegittime, ancorché sconsigliabili per una corretta tutela del patrimonio culturale regionale; ma nel testo in discussione esistono anche altre disposizioni che appaiono incongruenti con lo stato di fatto degli attuali aspetti gestionali dei beni culturali siciliani.
6 – Ad esempio, l’art. 8 assegna tutti i compiti di conservazione, studio e restauro dell’intero patrimonio culturale siciliano al Centro regionale del restauro. Questo da un lato è in palese contraddizione con quanto stabilito dalle L.R. 80 e 116 ancora vigenti, che attribuiscono tale compito istituzionale alle Soprintendenze. Dall’altro, non tiene conto delle attuali drammatiche carenze dell’organico tecnico-scientifico del Centro regionale di restauro, per cui tale Istituto non avrebbe alcuna possibilità di soddisfare le esigenze conservative ad esso attribuite.
7 – Ancora, 7 – Ancora, all’art. 3, commi a e j si fa esplicito riferimento all’intervento dei privati nelle attività di valorizzazione e gestione dei beni culturali siciliani, mentre al comma c dello stesso articolo si valorizza “7 – Ancora, all’art. 3, commi a e j si fa esplicito riferimento all’intervento dei privati nelle attività di valorizzazione e gestione dei beni culturali siciliani, mentre al comma c dello stesso articolo si valorizza “l’apporto del mondo del volontariato come risorsa complementare ed integrativa al ruolo degli operatori professionali”. La CIA non ha nulla in contrario, in termini generali, al possibile contributo dato da soggetti privati o del mondo del volontariato. Ci preoccupa però che questo avvenga al di fuori di un sistema di regole chiare e trasparenti che definiscano ruoli e competenze specifiche, in particolare per quello che riguarda la tutela del lavoro professionale nel campo dei beni culturali. Troppo spesso, infatti, questo è sostituito da lavoro gratuito, senza garanzie per i lavoratori e senza un controllo della qualità del lavoro svolto. Se si associa questo poi con il progressivo svuotamento del ruolo istituzionale di garanzia e controllo delle Soprintendenze territoriali, questa incondizionata apertura ai privati, sia a scopo di lucro che di tipo volontaristico, diventa un ulteriore grimaldello per forzare e, probabilmente, cancellare definitivamente il carattere pubblico e sociale della tutela dei beni culturali siciliani fortemente voluto e affermato dai legislatori regionali all’epoca delle riforme della fine degli anni ’70 da cui discendono anche le leggi vigenti
A questo punto sono necessarie alcune considerazioni su quello che c’è e quello che non c’è nel DDL in discussione.
8 – Da un lato, infatti, si vuole introdurre surrettiziamente in Sicilia norme contenute in un dispositivo legislativo di rango costituzionale, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che invece, come detto, non necessità di essere ‘adottato’ perché già vigente per il recepimento dinamico. Stessa situazione per il Codice dei contratti pubblici, con l’aggravante della mancanza di ogni riferimento all’art. 25 di tale Codice, riferito all’archeologia preventiva, strumento imprescindibile per una più efficace tutela del patrimonio culturale e, al tempo stesso, procedura che consente un notevole snellimento burocratico, rendendo più veloce la procedura autorizzativa delle opere pubbliche. Contemporaneamente, tuttavia, nello stesso DDL vengono inserite norme e
trasferimenti di competenze che sono in evidente contrasto con il Codice dei beni culturali che si vorrebbe adottare. Chiaramente un paradosso giuridico che pone seri dubbi sulla legittimità del DDL, e che rende lo stesso non emendabile e da respingere per le norme sopra descritte, che inficiano l’intero complesso normativo del disegno di legge che appare gravemente insufficiente rispetto ai temi affrontati.
9 – Il DDL manca infatti di una più attenta analisi della reale condizione di grave crisi in cui versano oggi i beni culturali siciliani, senza quindi proporre misure efficaci per la risoluzione di tali problemi. L’obiettivo che una seria riforma del settore dovrebbe porsi è quello di rendere efficace il dettato costituzionale di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione, di cui fanno parte i beni culturali siciliani, anche attraverso una migliore e più efficiente azione burocratica. In effetti, sempre più spesso viene avanzata a tutti i livelli la richiesta di una burocrazia più efficace e ‘semplice’, specialmente in questa fase di crisi determinata dall’emergenza COVID. In linea di principio siamo d’accordo con questa necessaria semplificazione, ma siamo anche convinti che questo non può, e non deve portare, a un depotenziamento dell’Amministrazione pubblica, delle sue strutture e delle sue leggi. Al contrario, per avere una burocrazia adeguata alle difficili condizioni del Paese, bisogna semplicemente renderla più efficiente attraverso il rispetto delle leggi, un migliore utilizzo delle specifiche competenze tecniche e un rafforzamento delle risorse finanziarie disponibili, esattamente il contrario di quanto fatto nel corso degli ultimi decenni.
10 – Per raggiungere tale obiettivo nel campo dei beni culturali riteniamo assolutamente necessario in Sicilia rafforzare il ruolo e la capacità di intervento degli Enti istituzionali di tutela, cioè le Soprintendenze, tornando ad istituire per l’ambito dei beni culturali il ruolo tecnico direttivo, abrogato con la L.R. 10/2000. Questo in considerazione della natura altamente specialistica di tale settore, quindi della necessità di disporre di personale specializzato in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge (Codice dei beni culturali, art. 9bis). Il ripristino del ruolo tecnico consentirebbe di restituire la necessaria multidisciplinarietà agli organi di tutela e di garantire un assetto organizzativo basato sul giusto riconoscimento dei ruoli e profili professionali specialistici attualmente presenti nel Dipartimento dei beni culturali. È necessario quindi predisporre una pianta organica rispettosa delle leggi nazionali e regionali di tutela.
11 – Bisogna peraltro tenere conto che l’ultima pianta organica nell’ambito dei beni culturali è stata definita con la L.R. n. 8/1999, grazie alla quale sono stati banditi nell’aprile del 2000 i concorsi per le qualifiche di dirigente tecnico previste appunto dalla rideterminazione delle dotazioni organiche del ruolo tecnico dei beni culturali. Gli archeologi e gli storici dell’arte assunti nel 2005 grazie a quei concorsi, tutti altamente qualificati da un punto di vista scientifico e professionale, sono stati però sotto-inquadrati rispetto al ruolo per cui avevano concorso. Il loro demansionamento ha causato da una parte l’impossibilità di svolgere la loro funzione direttiva, come d’altra parte avviene nello Stato, dove i funzionari di pari grado e specializzazione hanno la direzione di Unità operative, musei e parchi, e dall’altra ha causato disfunzioni organizzative e inefficienze nella Amministrazione regionale dei beni culturali. La rifunzionalizzazione del ruolo tecnico nell’ambito dei beni culturali e la conseguente ridefinizione della relativa pianta organica darebbe l’opportunità ai professionisti strutturati nei ruoli regionali dei beni culturali di avere finalmente il giusto riconoscimento e le proprie funzioni direttive. Al tempo stesso, creerebbe le condizioni per nuovi concorsi, necessari al fine di colmare i vuoti di organico che nel corso del tempo si sono venuti a creare.
12 – Da un punto di vista delle risorse finanziare è necessario un nuovo e più efficace trasferimento di risorse ordinarie al settore dei beni culturali. Nel corso di questi ultimi decenni si è infatti assistito a una costante e drastica diminuzione dei fondi ordinari che la Regione ha
stanziato per tale fondamentale settore all’interno del proprio bilancio, rendendo inefficace l’azione di tutela e valorizzazione degli Enti istituzionali. Si è passati infatti dai 500 milioni stanziati nel 2009 per i beni culturali siciliani ai soli 10 milioni degli ultimi anni. Si è in parte provato a colmare questa grave carenza finanziaria utilizzando le risorse rese disponibili dai fondi strutturali della Comunità Europea, senza però ottenere risultati significativi in tal senso, soprattutto per la scarsa capacità di progettazione degli interventi causata dal deficit di competenze specialistiche. Il risultato è davvero desolante: fondi non utilizzati e restituiti all’Europa, oppure interventi realizzati e poi resi inefficaci dalla mancanza di una seria politica gestionale.
– Si ritiene infine necessario dare una chiara risposta alle esigenze di tutela lavorativa per tutti i professionisti dei beni culturali che dall’esterno, singolarmente o associati in società e cooperative, svolgono da sempre un ruolo fondamentale di assistenza alle attività istituzionali delle soprintendenze, nella redazione delle relazioni di archeologia preventiva, nei cantieri di scavo e nella sorveglianza archeologica delle opere pubbliche. La vasta platea di tali lavoratori ha oggi ancora di più bisogno di tutele lavorative e del riconoscimento della loro professione. Oggi questo è possibile grazie alla L. 110/2014, recepita dall’art. 9bis del Codice dei beni culturali, riconoscendo il fatto che i lavori specialistici dei beni culturali nei vari settori in cui questi si articolano possono essere svolti solo da professionisti in possesso dei necessari requisiti tecnici e scientifici. Tale articolo è oggi reso operativo dal DM. 244/2019 del MiBACT, che individua e definisce in modo chiaro quali sono i requisiti necessari per svolgere la professione, indicando anche la tipologia dei diversi lavori realizzabili dai singoli professionisti in base alla personale formazione scientifica e professionale. Tali disposizioni sono valide per tutti i professionisti dei beni culturali, indipendentemente se strutturati all’interno degli Enti pubblici o meno. Nella Regione Sicilia tali disposizioni non sono però attuate, come detto, per coloro inquadrati all’interno dei ruoli regionali dei beni culturali, né tantomeno sono riconosciute ai liberi professionisti. È quindi necessario, da un punto di vista normativo e procedurale, dare corso a tale riconoscimento per la giusta valorizzazione e tutela di tutti i professionisti dei beni culturali. In tal senso, la Confederazione Italiana Archeologi offre la propria disponibilità ed esperienza al fine di mettere in campo tutte le azioni necessarie ai fini di garantire tale riconoscimento.